mercoledì 15 luglio 2009

Gli esordi delle fotografia

DALLA SVEZIA SI RACCONTA CHE GLI OSPITI DELLO SCIENZIATO ITALIANO GIAMBATTISTA DELLA PORTA (1535 ca.-1615) RIMASERO SCIOCCATI. DI FRONTE A LORO, SULLA PARETE DELLA STANZA, SI MUOVEVANO DELLE IMMAGINI RIMPICCIOLITE E CAPOVOLTE DI PERSONE. GLI SPETTATORI IN PREDA AL PANICO SCAPPARONO VIA. E DELLA PORTA FU ACCUSATO DI STREGONERIA.

TUTTO questo per aver cercato di intrattenere i suoi ospiti esibendo una camera oscura. Il principio su cui questa si basa è semplice, ma i risultati possono essere spettacolari. Come funziona?

Quando in una scatola o in una camera buia la luce entra attraverso un piccolo foro, sulla parete opposta viene proiettata un’immagine capovolta di ciò che si trova all’esterno. Ciò che gli
ospiti di Della Porta videro erano attori che stavano recitando all’esterno. La camera oscura fu il prototipo della macchina fotografica. Oggi forse siete fra i milioni di persone che hanno una macchina fotografica o che magari hanno usato le economiche e diffusissime macchine fotografiche usa e getta.

Ai giorni di Della Porta la camera oscura non era una cosa completamente nuova. Già Aristotele (384-322 a.E.V.) aveva osservato il fenomeno che sta alla base della camera oscura, poi nel X secolo questo fenomeno fu descritto vividamente dall’astronomo arabo Alhazen, e nel XV secolo Leonardo da Vinci fece riferimento alla camera oscura nei suoi appunti. Nel XVI secolo l’applicazione di una lente alla camera oscura migliorò la qualità delle immagini, e così molti artisti poterono realizzare opere con notevole precisione prospettica. Nonostante i molti tentativi, però, fino al XIX secolo non si riuscì a rendere le immagini permanenti.

Il primo fotografo

L’inventore francese Joseph-Nicéphore Niepce iniziò probabilmente già nel 1816 a cercare il modo di creare immagini fotografiche permanenti. Ma i suoi sforzi conobbero una svolta decisiva quando, facendo esperimenti di litografia, notò che una sostanza chiamata bitume di Giudea era sensibile alla luce. Verso la metà degli anni ’20 del XIX secolo mise una lastra di peltro spalmata con questo bitume in una camera oscura davanti a una finestra della sua tenuta, e la lasciò esposta alla luce per otto ore. Oggi nemmeno il più inesperto dei fotografi amatoriali andrebbe fiero dell’immagine sfocata che Niepce ottenne e che ritraeva un edificio, un albero e un granaio. Lui però aveva tutte le ragioni per esserne orgoglioso: quell’immagine fu molto probabilmente la prima fotografia.

Per sviluppare ulteriormente il suo metodo, nel 1829 Niepce si associò con un dinamico imprenditore,
Louis Daguerre. Niepce morì nel 1833 e negli anni successivi Daguerre fece alcuni importanti passi avanti. Si servì di lastre di rame ricoperte di ioduro d’argento, una sostanza più sensibile alla luce rispetto al bitume di Giudea. Per caso scoprì che, se la lastra veniva trattata con vapori di mercurio dopo l’esposizione, l’immagine latente appariva nitida. Questa scoperta ridusse in modo drastico il tempo di esposizione. In seguito Daguerre scoprì che lavando la lastra con una soluzione salina l’immagine non si scuriva con il passare del tempo. La fotografia era pronta per riscuotere un successo travolgente!!

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